Kupa-munduk

Chi suona il Veena in toni così soavi?  Il mio cuore ha conosciuto il dolore, la felicità e la tristezza ma non avevo mai avuto una canzone per esprimere tutto questo. E tutti i miei desideri escono allo scoperto ed il fiume e la foresta tremano con me”. Vi è mai capitato, durante il vostro risveglio del mattino, che la vostra mente stia replicando per voi in modo del tutto spontaneo un brano musicale esattamente come lo avevate udito? Ebbene la mia non è avara di simili regali e questa mattina ha voluto accompagnare il mio risveglio con la dolce melodia del Veena, uno dei più antichi strumenti indiani, ed il soave canto di una donna indiana. Si tratta di un brano tradizionale che avevo udito per la prima volta pochi giorni fa mentre veniva eseguito per “Lo Straniero” che è il protagonista ma anche il titolo dell’ultimo film (Agantuk) realizzato da Satyajit Ray. Un film che fa un’analisi profonda, realistica e accurata dell’altro, dello straniero, di colui che non si conosce realmente, di colui che nonostante abbia le stesse “radici”, o come nel caso del film “lo stesso sangue”, viene accolto con paura, diffidenza e pregiudizi.

Quando le diversità si incontrano può, infatti, a volte accadere che alcune persone poco aperte alla diversità, al nuovo, allo sconosciuto siano piene di pregiudizi che non vengono basati su qualcosa di reale ma solo sul presupposto che "se una cosa è nuova io la rifiuto immediatamente, perché mi spaventa". Quello che fanno questo tipo di persone è “attenersi a ciò che è a loro familiare” ma in questo modo perdono un’occasione unica per crescere, conoscere ed evolversi. In pratica restano dei “Kupa-munduk”, delle rane che non escono mai dal loro buio, scivoloso e poco salubre pozzo. Queste rane credono che questo sia un bene per loro ma “Lo Straniero” consiglia alla nuova generazione di non imitarle e di aprirsi invece al mondo e al diverso. Le nostre speranze infatti possono fondarsi solo sulle giovani generazioni. “L’uomo è per natura un essere culturale” come ha affermato Arnold Gehlen. “La sua sensibilità per le armonie deve però essere destata e coltivata al momento giusto e può funzionare solo se sono stati immagazzinati un gran numero di dati. La miglior scuola nella quale un giovane possa apprendere che l’universo è dotato di senso è la pratica diretta con la natura. Ogni cucciolo d’uomo che sia dotato per natura della capacità di nutrire sentimenti profondi, passerà dalla gioia per la natura vivente all’amore per tutti gli esseri viventi. Se vogliamo davvero che i giovani d’oggi non disperino della presente situazione dell’umanità, dovremmo fare in modo che possano rendersi conto veramente di quanto è grande, di quanto è bello il nostro mondo. Dovrebbe far parte di una educazione sana far capire all’essere umano in formazione che è possibilissimo distinguere ciò che ha significato da ciò che non lo ha. Tuttavia ai ragazzi e ai giovani non si insegna mai a distinguere il vero dal falso, ciò che ha senso da ciò che non lo ha. Eppure questo è possibile! È assai grave che nell’educazione dei nostri figli sia trascurato questo problema importantissimo, decisivo per sviluppare la capacità umana di libero pensiero. Cercando di rendere direttamente percepibile agli adolescenti la bellezza e la grandezza del mondo in cui viviamo, noi speriamo anche di ridestare il loro interesse per i rapporti interni fra gli elementi di cui il mondo è costituito. La completa mancanza di curiosità è un fenomeno patologico. Azzardo l’ipotesi che questo ridestarsi della curiosità potrebbe persino rivitalizzare il senso della solidarietà umana che è andato perduto. Per rivelare a un giovane la grandiosa varietà della creazione organica e al tempo stesso della sua intima regolarità bisognerebbe fargli acquisire una stretta familiarità con una qualsiasi specie, animale o vegetale”, come ha affermato Konrad Lorenz (Il declino dell’uomo).

Un dovere per chi ritiene che sia molto importante l’educazione (non solo l’insegnamento) per l’Homo sapiens e per le nuove generazioni a cui è indispensabile lasciare in dono preziose virtù: “L’empatia per il più piccolo degli animali è una delle più nobili virtù che un uomo può ricevere in dono” come ha affermato Charles Darwin. Mentre Molière con “la virtù è il primo titolo di nobiltà; io d'un uomo non bado al nome ma alle azioni” sembra sottolineare quello che vuole dimostrare “Lo Straniero” protagonista dell’omonimo film e cioè che un documento completo di generalità, quant’anche fosse autentico, non possa assolutamente dimostrare ciò che è la persona a cui è intestato poiché “L'uomo non è altro che la serie delle sue azioni (G. W. F. Hegel) ma se Epicuro affermava che “Non la natura che è unica per tutti, distingue i nobili dagli ignobili, ma le azioni di ciascuno e la sua forma di vita dobbiamo anche considerare che conoscere e comprendere la natura dell’altro e dello straniero deve avvenire attraverso un incontro autentico ed empatico che deve essere fatto in pieno equilibrio di ragione e sentimento, cosa molto difficile per chi non conosce se stesso poiché “un essere che non abbia ancora preso coscienza del proprio io  non può essere in grado di sviluppare né un pensiero astratto, né un linguaggio, né una coscienza o una morale responsabile. Un essere che non riflette più corre il rischio di perdere tutte queste qualità e attività specificatamente umane” (K. Lorenz). Altre parole della canzone indiana tornano alla mente “Riempio di melodia la mia vita da reclusa. Il mio cuore si apre come il loto la mattina e aspetta un paio di piedi umidi che si avvicinano. La grazia e la bellezza si svegliano e il mio cuore si riempie di gioia. Una brezza fresca fluisce e porta tutto a nuova vita, raggiungendo la profondità del mio essere e invitano a riflettere che è ora che tutti comincino ad uscire dai propri pozzi.

 

Per gli uccelli, per la natura, per la gente

 

 

 

 

 

 

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© Autore Angela Damiano — Pubblicato sul periodico  “La Fonte”

Come rane nei pozzi

Uscire dai propri pozzi per aprirsi al mondo