Sfinge colibrì

In estate l’aria si profuma di note intense e dolci che si propagano dai pochi prati fioriti lasciati al loro ciclo naturale mentre il calore del sole intensifica l’effetto inebriante dei profumi mielati delle ginestre, dei caprifogli e dei rovi risparmiati dai tagli. Essenze variegate e fiori di varia forma e colore riescono ad attirare anche i più esigenti frequentatori di questi profumati ristori di nettare.

I maggiori protagonisti di questo “via vai” di fiore in fiore sono gli insetti che, diversi e numerosi, silenziosi o più o meno rumorosi, spesso ebbri, lasciano come “compenso” il loro prezioso lavoro di impollinatori. Tra i frequentatori di questi piccoli bar non è difficile notarne uno un po’ speciale per il suo comportamento: vola rapidamente di fiore in fiore, battendo velocemente le ali e fermandosi librando a mezz’aria mentre, con quella che sembra una lunga lingua, sugge il delizioso nettare da una vivace corolla; poi, con la stessa rapidità con cui è apparso, improvvisamente scompare e lascia un alone di mistero in chi non lo (ri)conosce. C’è chi ne è spaventato poiché lo ha confuso per un calabrone, anche se non ne emette il caratteristico rumore, ma anche chi ha creduto (erroneamente) di aver visto un Colibrì (uccelli che vivono solo in America centro-meridionale).

L’incredulità è ancora maggiore quando riveliamo l’identità di questo impollinatore misterioso: si tratta di una falena appartenente alla famiglia delle Sfingidi (Sfingidae) che, in Europa è costituita da poco più di una ventina di specie. La Sfinge colibrì (Macroglossum stellatarum), così si chiama questo insetto, è una di quelle poche specie di falene con volo diurno, sebbene la maggioranza dei componenti della famiglia siano crepuscolari o notturni. Caratteri tipici che i componenti della famiglia hanno in comune sono un corpo grande con addome fusiforme ed un torace robusto dotato di potenti muscoli che permettono il rapido movimento di quattro ali dalla forma allungata (le due posteriori sono più piccole) consentendo di raggiungere il record per il più veloce battito d’ali tra i Lepidotteri ma anche di raggiungere velocità abbastanza elevate e di librare” immobili” sospesi nell’aria. Il dispendio di energia è enorme, però, se pensiamo che durante il volo la temperatura corporea può salire di 10°C rispetto a quando sono a riposo. La Sfinge colibrì riesce ad effettuare 70 battiti d’ali al secondo e raggiunge una velocità di volo intorno ai 50 km/h. Una frequenza che supera quella di alcune specie di Colibrì che, invece, effettuano dai 12 a 90 battiti al secondo (dipende dalla specie) raggiungendo una velocità di circa 54 km/h. Da qui forse il nome Hummingbird Hawkmoth attribuito alla specie che significa Hummingbird = uccello colibrì e Hawkmoth = sfinge falena brevemente detta Sfinge colibrì.

Ma vi è anche un’altra possibile analogia, anche questa volta comportamentale, determinata da una caratteristica dell’estremità addominale dove, in questa falena, è situato un fitto ciuffetto di peli mobili timonieri che strutturalmente sembra simile alle penne timoniere della corta coda dei colibrì e che sembra avere la sua stessa funzione. È infatti possibile che durante l’evoluzione alcune caratteristiche “vincenti” e “collaudate” vengano “ripro- poste” in animali che sono lontani sistematicamente come è avvenuto in questo caso.

Un altro comportamento che rende simili queste due specie è la possibilità di suggere il nettare, anche in corolle molto profonde, senza avere la necessità di posarsi su di esse. Nelle Sfingidi questo apparato, pur sembrando una lunga lingua come può indicarci anche il termine “Macro-glossum = grande lingua”, è costituito da una lunga spirotromba che funziona come una cannuccia e che viene arrotolata sotto la testa durante il riposo. Il nome del genere a cui la nostra Sfinge colibrì appartiene denota quindi una caratteristica fisica, al contrario il nome “stellatarum” attribuito alla specie indica il nome scientifico di una delle piante di cui si nutre il bruco di questa specie: la Stellaria. Un indicazione più che necessaria se vogliamo conoscere i bruchi di questa famiglia che oltre ad essere glabri e abbastanza grandi possiedono anche un simpatico cornetto arcuato situato verso l’estremità posteriore. Infatti, la chiave per scoprire il motivo del nome attribuito a questa famiglia è proprio nel bruco che, durante il riposo, assume una posizione mimetica e difensiva da “sfinge” sollevando la testa e arcuando i  primi segmenti toracici. Abbiamo così scoperto che anche se non abbiamo visto un colibrì, la specie che ci troviamo davanti merita comunque la nostra ammirazione per le sue speciali “dotazioni” evolutive ma anche per il fatto che si tratta di uno dei pochi insetti che migra durante la stagione fredda verso luoghi più caldi.

Scrivendo di colibrì però non posso fare a meno di pensare a “La treccia d’oro del colibrì”, un breve e commovente racconto di Nicola Palladino scritto nel libro “L’eccezione alla regola”. Una voce narrante ed una persona che mancherà soprattutto a chi ha avuto la fortuna di conoscerla e che, insieme a Roberto Palladino e agli altri amici del Gruppo Sportivo Virtus di Campobasso, mi hanno aiutato a crescere nei quasi 15 anni trascorsi con loro.

© Autore Angela Damiano — Pubblicato sul periodico  “La Fonte”

Falena dalla lunga lingua